24.7.11

Tutti i risotti della mia vita

Pensavo oggi che il riso abbonda sulla bocca di Nina.
In più sensi e per svariate ragioni, tanto che potrebbe ricondurre la sua vita - almeno fino ad ora - a una Fenomenologia del Risotto (cfr. Fenomenologia del Passato).


risotto perfetto racconti di cibo
Un po' per amore (potere del riso di assorbire nutrienti e ingredienti e spezie e acqua e aroma e mescolìo e non lasciarlo andare, e prendere colore, il colore che dici tu, il sapore che dici tu, è un passaggio, è una concessione, sembra quasi una tela, un'osmosi terrena), un po' per dovere (così salubre per lei, lui privo di glutine), un po' per senso metaforico (dev'essere ad onda, lui cresce nell'acqua, è riso-sorriso, son chicchi come gocce di pioggia narranti e attente, e li lanci in aria per festeggiare, e così via).

Allora ho pensato ai miei anni divisi per risotto. Facciamone otto, per ora.

C'era il tempo della mensa dell'asilo, in cui Nina non mangiava quasi nulla, però c'era il riso rosso che facevano, quello col sugo, che un po' acidino era, che le piaceva e la faceva fantasticare. Lo allargava tutto quanto sul piatto, così non scottava, ci scriveva con la forchetta e immaginava fosse una pizza margherita. Bianco lo amava come lo faceva la mamma a casa, al latte, che sembrava una crema, era dolcino, ed era una magia poter mangiare una cosa che pensavi dolce a una pensata solo salata, e mia madre una maga (capiamoci, a 4 anni dovevi ancora e ancora affinare gusto ed estetica, e io non ero un talento, è probabile).

Però di quelle magie mi piaceva conoscer le regole; e pian piano quei pochi intrugli che provavo a far a casa e sentirmi una donnina e far una cosa sopraffina, seguendo la ricetta e senza aiuti, era prova di grandezza. Ricordo il risotto "brusciato" di anni dopo, preso da un vecchio ricettario bianco a quadretti, che ora è giallo invecchiato, quello con certe immagini che, ad oggi, con la rete piena dei più vividi foodblog terracquei esistenti, ti viene da dire ma-come-ci-pensavano-a-fare-foto-così? Ultrasature ultraunte ultracariche, marroni, l'acquolina al massimo veniva al gatto. Però quella foto del risotto brusciato me la ricordo perché era rosso e saporito, si vedeva, e metteva insieme un sacco di ingredienti dentro che, sempre a causa del giudizio-ancora-da maturare, io credevo più ingredienti = più gusto. Ovviamente lo testai 13enne con ospiti a pranzo, e il sapore era buono, tipo di caciocavallo affumicato, ma il fondo della pentola era davvero bruciato e idem si dica per l'aria della cucina. Da lì cominciò l'eterna ricerca del risotto perfetto.
risotto giallo liquirizia racconti di cibo illustrati

A Bordeaux, nei miei mesi francesi, alla famiglia ospitante preparai un pranzo all'italiana, in cui il risotto al radicchio a me caro, già visto preparar tante volte dal mio guru del risotto, lo credevo un cavallo da battaglia, dimenticando nell'euforia la delicatezza che necessita, e il pericolo pappone nonché il pericolo insalata-di-riso sempre dietro l'angolo. Destino volle che la famiglia bordolese decise all'ultimo di invitar amici e parenti, e mi trovai seduti al tavolo 8 persone in più frementi e affamate a far il tifo: "Bravo Bravo Ninà!" E con un risotto strabordante da mescolare in una pentola da 4. Risultato: una sbobba al radicchio (radicchio che m'ero fatta spedire dall'Italia, ché lì non si trovava, e loro che di risotto conoscevano solo il basmati lessato). Forse fu solo per queste ragioni che, comunque, si leccarono i baffi.

Delusa dalla mia ars coquinaria sotto stress, e chiedendo scusa al Dio dei Risotti, decisi di aspettar tempo ed esercitarmi in un risotto a settimana. Volevo la perfezione, quella del minuto esatto, della consistenza esatta, del giusto equilibrio di sapore, che sennò era sacrilegio, che di sbobbe e risi non mantecati non volevo più vederne sotto i miei occhi, nella mia pentola: insomma, la perfezione del risotto verde e del suo creatore, di cui forse leggeste tempo fa (ed è lui che vi invito a invocare quando mantecate il vostro risotto perfetto).

Poi celiachia venne e risotto - per fortuna - rimase, e da lì l'apoteosi della mia ricerca.

Ricordo il risotto alla polvere d'arancia e sedano che da Cavoletto scoprii, il risotto giallo alla liquirizia con cui festeggiammo l'anno nuovo, e la mia caparbietà e il mio fanatismo per i risotti crebbe e crebbe e crebbe.


L'ultimo risotto - da cui nacque il pensiero di questa fenomenologia di vita, come delle tappe di cui ricordo tutto - fu quello che mangiai al Maso, nel Trentino, poche settimane d'estate fa.

Un risotto fuori tempo, disse lui, alla Nina invitata a cena e pure "a nozze" dato il piatto a sorpresa che le fu così presentato: "Siccome Nina aspetta la primavera quando è autunno, stasera per lei un risotto alla zucca e funghi". E be', quanto mi piacque!

Dico piacere e non parlo (solo) di quello di gola, o di mélange di sapori da critica che non sono di cucina, ma di cura. Il riso, il risotto in particolare, ha bisogno di cura, di tempo, di armonia e di senso; di chi lo mangerà di chi riconoscerà i sapori di chi non li riconoscerà ma li amerà.

Per questo forse io li ricordo tutti i risotti della mia vita, perché, come brodo e zafferano, il riso assorbe pure il tempo in cui l'hai preparato, il desiderio con cui hai mescolato, il primo assaggio di chi l'ha fatto per te. Come se ogni chicco fosse un messaggero.

risotto verde racconti di cibo ode al riso

Ora sta piovendo e pare autunno, io quel risotto alla zucca l'ho rifatto oggi, a onda, sparso sul piatto ogni forchetta gustata, ogni chicco ben tosto.

Magari un giorno esisterà un risotto all'aere d'estate, un risotto alla corteccia di gelso, un risotto all'aroma di iris, e ogni sapore come il succo di ciò che ti specchia, insomma come una tela dicevo, come un inchiostro.
E, mi dico, quella continua e caparbia ricerca affinché quella cura sia perfetta, e quei chicchi siano abbracci stretti e raccontino bene il tuo messaggio, bello sarebbe se uno la facesse con ogni cosa a cui tiene della propria vita.



Oggi il tempo è di pioggia.
Sembra il giorno una sera,
sembra la primavera
un autunno, ed un gran vento devasta
l’arboscello che sta – e non pare – saldo.

(Umberto Saba)




*

19.7.11

La fine e l'inizio

wislawa szymborska amore a prima vista francesca ballarini

Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
È bella una tale certezza
ma l’incertezza è più bella.
Non conoscendosi prima, credono
che non sia mai successo nulla fra loro.
Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
dove da tempo potevano incrociarsi?
Vorrei chiedere loro
se non ricordano -
una volta un faccia a faccia
forse in una porta girevole?
Uno “scusi” nella ressa?
Un ‘ha sbagliato numero nella cornetta?
- ma conosco la risposta.
No, non ricordano.
Li stupirebbe molto sapere
che già da parecchio
il caso stava giocando con loro.
Non ancora del tutto pronto
a mutarsi per loro in destino,
li avvicinava, li allontanava,
gli tagliava la strada
e soffocando un risolino
si scansava con un salto.
Vi furono segni, segnali,
che importa se indecifrabili.
Forse tre anni fa
o il martedì scorso
una fogliolina volò via
da una spalla all’altra?
Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
Chissà, era forse la palla
tra i cespugli dell’infanzia?
Vi furono maniglie e campanelli
in cui anzitempo
un tocco si posava sopra un tocco.
Valigie accostate nel deposito bagagli.
Una notte, forse, lo stesso sogno,
subito confuso al risveglio.
Ogni inizio infatti
è solo un seguito
e il libro degli eventi
è sempre aperto a metà.

("Amore a prima vista" Wislawa Szymborska, da La fine e l’inizio)



poesia illustrata ballarini szymborska

“Non potei fare a meno di sorridere, quando ci stringemmo la mano, perché la nostra presentazione sembrava straordinariamente superflua. Ci sono incontri che sono vere e proprie agnizioni: quello ne era uno.”
(C. Isherwood)


Da quel giorno, che è questo, nulla dies sine linea.




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7.7.11

Nina Son Ora

borges illustrazione orchestra Francesca Ballarini

Nella cassa armonica di Nina risuonano le solite farfalle spaesate, che a forza di star lì si son fatte i muscoli sulle ali. 
In testa corde di violino che si fingono capelli tesi e sonori, parlano di assoli e serenate; sassofono e flauto continuano a suonare-disegnare, tra le 5 dita e i 5 tasti, sarà swing sarà romanza a seconda della luce del giorno. Con un archetto e un clarinetto cammina, ché un po' Gambadilegno-non-a-Parigi Nina lo è. Ciascun passo un suono differente, metti di toccar l'asfalto, o il legno di un pavimento di montagna, o l'erba di un giardino, ogni volta è un timbro diverso che la fa vibrare, e si sente sempre diversa ma sempre uguale, e le piace. 


A quest'ora, la sua heure bleue, Nina Sonora va alla ricerca di un angolo fresco dove posar il cappello, lucidare gli ottoni e trovar l'ispirazione. Ieri ad esempio era ai piedi di una scaletta appoggiata a un albero, ad aspettare una coppia di ciliegie da appendere sul ricciolo del violino, come la curva dell'orecchio, ché magari poi ci sento meglio.

Di solito è l'ora in cui continua a scriver il suo spartito, invece di stare ad aspettar troppo le mani dal cielo che le prendano il pennino e mettano per lei le pause e le note e le chiavi, sulla carta che porta in grembo.
È che poi c'è Borges che la giustifica, sai com'è, "ogni poesia è misteriosa, nessuno sa interamente ciò che gli è stato concesso di scrivere". E così, grazie a Jorge Luis, Nina se la cava sempre, e temporeggia e s'attarda.


PeppereppepeBANGBANGtumtumtumtumplinplinPlinplinPeeePeeeZINGZINGdlindlindlindlinzumzum

Son fanfare confuse quando ha caldo.


Si siede placida sotto il gelso, in alto sulla collina, tra poco è tramonto, e legge e declama


Prendimi adesso tra le tue braccia
adesso sciolta da me raccoglimi
non per ridarmi forza
ma perché io possa arrendermi

(Patrizia Cavalli da "Pigre divinità e pigra sorte", 2006)




Mica facile prendere tutti quegli strumenti assieme - pensa Nina - due sole mani, in un solo cerchio d'abbraccio. Un gran direttore colui che suonerà.




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3.7.11

Tre Mare

francesca ballarini illustrazione salvataggio

Con te io sono giovane
Quando laggiù gli alberi minacciano
E il cielo svanisce in lontananza
I tuoi occhi mi toccano

Quando ogni passo si perde sull'erba
Quando ogni passo sfiora le acque
Quando le onde mi fervono in testa
E dall'azzurro qualcuno mi chiama

Con te io sono giovane
Cadono i miei anni come foglie
E qualcuno colora le mie tele
Allora esse brillano di te

E sul tuo volto il sorriso è radioso
Più chiaro assai delle nubi più chiare
Allora io corro dove sei
Dove mi pensi e dove mi attendi.


(Marc Chagall)






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