29.6.11

Mappare le stelle

costellazione illustrazione cielo francesca ballarini
"Costellazione" (Da Wikipedia)
Una costellazione è ognuna delle 88 parti in cui la sfera celeste è convenzionalmente suddivisa allo scopo di mappare le stelle. I raggruppamenti così formati sono delle entità esclusivamente prospettiche, a cui la moderna astronomia non riconosce alcun reale significato. 
Nello spazio tridimensionale le stelle che formano una stessa costellazione possono essere separate anche da distanze enormi, così come diverse possono essere le dimensioni e la luminosità. 

Mi guardo da fuori, a volte ci provo a fare l'altra da me, mi diverte riconoscere cose che mi appartengono così tanto che poi non le vedo più, o non ne ho mai preso coscienza. È strano perché a volte c'è da sforzarsi per riconoscerle, e dare loro un nome.

Ci ho pensato stasera, tornando casa. Attraverso il porticato, prendo al volo un rametto dalla siepe e lo tiro con quella delicata fermezza che serve a spogliarlo delle foglioline, che poi lancio in aria ai passi successivi. Stasera l'ho fatto, e mi son resa conto che è un gesto che ripeto fin da piccola, quando si tornava dai giochi d'estate o dalla scuola, con una certa placidità addosso che ti fa soffermare sui pensieri quel poco di più. Una specie di rito del ritorno inconsapevole, quando sei sola, più o meno all'ora del tramonto. Poi, ti dicevano, non portarti le mani alla bocca ché quella siepe è velenosa! - mai appurato questo, ma per me ancora lo è - e io salivo a casa con quell'impronta di brivido tra le dita, d'essere circondati da una trincea di pericolosa vegetazione protettiva.

Oppure, m'accorgo, c'è che quando sto davanti a uno specchio ruoto i piedini alle 10 e 10, come una ballerina che non sono mai stata, ma una certa protteria (leggi "frivolezza impunita") me la porto dietro da sempre, come se quel vestito che indosso sia un nuovo tutù, e quelle ai piedi le centoventesime ballerine lucide di vernice nera, e poi ovvio un fiocco abbastanza grande e sufficientemente rosa tra i capelli. Chissà come mi vedevo allora, e tutt'ora cos'è rimasto e non si vede.

O quando premo le labbra, perché sono divertita imbarazzata e una marea di parole rimangono incastrate tra le pieghe che sorridono e si ammassano una per una e io stringo, e non faccio uscire nulla.
O ancora quando scommetto di riuscire a salire le scale almeno di un piano prima che il portone del palazzo si chiuda da sé con quel boato che fa l'eco, e ogni volta c'ho un desiderio tipo quello di Mathilde, se-faccio-in-tempo-allora-vuol-dire-che. Quante scommesse son riuscita a fare entrare da quel portone, confortata del risultato, all'ultimo scalino.

Ho deciso allora che li voglio scrivere tutti questi segni miei, ogni volta che m'accorgo, mapparli come stelle, che pure costruiscono la storia. Anche in loro c'è una catena che descrive e riporta, una volta celeste che pian piano si allarga, il raggio prospettico è più ampio, e la tua vista più lunga, sia quella da lontano, che quella da vicino, vicinissimo, dentro, come i puntini che colleghi nella settimana enigmistica, e viene fuori una barca e poi un ombrello e poi un gabbiano e poi, ecco, una figura umana.

(...) Viceversa, due o più stelle che sulla sfera celeste appaiono magari lontanissime tra di loro, nello spazio tridimensionale possono essere al contrario separate da distanze minori di quelle che le separano dalle altre stelle della propria costellazione.
Durante un ipotetico viaggio interstellare non riusciremmo più ad identificare alcuna costellazione, e ogni sosta vicino a qualunque stella ce ne farebbe identificare semmai di nuove, visibili solo da tale nuova prospettiva.

Allora io alle mie costellazioni darò un nome, una ad una, così, anche quando ci sto vicino e dentro, nel mio "viaggio interstellare", potrò guardarle e raccontarle a pancia all'insù, nelle lucide notti d'estate.

francesca ballarini

25.6.11

Piena di Grazia


Auguri mamma, che non è un caso che questo giorno fu quel giorno.

Le persone che ti amano t'indicano sempre la strada, guarda quanti fili colorati di possibilità mi raccontavi lassù.



*

22.6.11

Credo


sirena pesce credere credo illustrazione yellowletters


Quando credi non è che qualcosa ti fa distogliere, credi e basta. Nessuna terra, nessuna ragione, nessun divieto, nessun limite. Credi negli asini che volano, o che ce la puoi fare, che uno c'ha una missione e che ci crede sempre fino alla fine, credi che quello che senti è una musica chiara, che svela tutto pure se la senti solo tu, e credi pure che esistono le sirene che parlano coi pesci - che poi son quelli che ti sogni di notte, pure loro volanti. Insomma un credo è un credo. O non si chiamerebbe così. Ho molto rispetto del credo perché, come dice Chris, potrà succedere di tutto but still I’ll raise the flag.
Ecco, quella bandiera è parecchio bella.

Poi la difficoltà di farlo realizzare non intacca il credo. Neppure il tempo che attraversa, neppure la distanza che svuota, neppure la diversità. Tutto il resto è l'ordine casuale o causale di elementi. Sì, insomma quella è un'altra storia, e probabilmente è quella fondante, ma parte tutto dal "credo che quel qualcosa sia predisposto al meraviglioso". 


Ad esempio, quella sirena lassù si chiama Disì, mentre il pesce si chiama Credo, ma se glielo chiedi lui non ti risponde proprio così, lo fa a bolle silenziose, voglio dire, è un pesce. Però a quanto pare si chiama proprio così. Almeno credo. Ci devi credere però che si chiama Credo. Perché non tutto è proprio chiaro a suoni e risposte.



(Tra l'altro oggi sono vestiti a festa - li ricordate no, loro due? - perché, nuota che ti nuota, sono arrivati in un altro porto ancora, invitati ad ascoltare una storia che è stata scritta in loro onore. Leggete le Yellow Letters di lei, la cui penna è un amo, in tutti i sensi)




*

15.6.11

Contempl-azione


Sì, ma non farlo volare via.


(È una questione di polso. Ché polso e palloncino possono pure essere tremanti come la coda di un pesce, ma se è forte il desiderio, al massimo volate via assieme).


"Si può amare da soli, si può pensare da soli, si può sognare da soli, ma il desiderio è reciproco, il desiderio è un’azione che si può compiere solo in due. E allora guarda dove vuoi, guarda il cielo o il marciapiede, guarda le scarpe di chi ti cammina davanti o specchiati nelle vetrine, ma desiderami. Gli altri ameranno amori non corrisposti, penseranno pensieri che cadranno nel vuoto, sogneranno sogni che si dissolveranno al risveglio – noi ci desidereremo, azione, plurale." [yellowletters]



*

11.6.11

Nina è 3

È una lunga storia questa, per un sabato quasi estivo. 
Mettetevi comodi, scegliete una tazzina, che oggi è un po' la protagonista. Fingete di essere in vacanza lì dentro, una piccola gitarella fuori porta; versate del tè, della limonata, delle bollicine, nuotate e ascoltate.

Oggi Nina compie tre anni: 1 anno per le radici, 2 anni per il fusto, 3 anni per i rami, ha deciso.

E quando i rami si tendono sul fiume, lì nascono foglie, e queste foglie si guardano indietro e raccontano al cigno che nuota per quelle acque gli anni passati a crescere.

Il primo anno mi avete portato fiori, il secondo anno vi ho portato conchiglie. Mentre i primi continuano a crescere e le seconde ad arrivare a riva, questo terzo anno è per un racconto, o meglio una prefazione, a tutto ciò che avete letto e sentito fino ad ora.

"La prefazione è una specie di valigia, un nécessaire, e quest'ultimo fa parte del viaggio: alla partenza, quando ci si mette dentro le poche cose prevedibilmente indispensabili, dimenticando sempre qualcosa d'essenziale; durante il cammino, quando si raccoglie ciò che si vuole portare a casa; al ritorno, quando si apre il bagaglio e non si trovano le cose che erano sembrate più importanti, mentre saltano fuori oggetti che non ci si ricorda di aver messo dentro. Così accade con la scrittura; qualcosa che, mentre si viaggiava e si viveva, pareva fondamentale è svanito, sulla carta non c'è più, mentre prende imperiosamente forma e si impone come essenziale qualcosa che nella vita - nel viaggio della vita - avevamo appena notato."

Questo qualcosa è una tazzina di caffè.


Nina non è il mio nome, e non lo è stato fino a 3 anni fa. È nato poco prima di questo blog, e ora direi che è nato per.
Mi ha chiamato Nina per scherzo, come si dice oh, Nina, oh Nino, oh Nì! per semplicemente chiamare, chiamarti senza appellarti, farsi accorgere. Come il paradigma di nome, un non-nome, un appellativo che può valere per ognuno. E poi assomigliava a un disegno, ché se lo scrivo corsivo sembrano onde. Allora quando capita che ci si ritrovi nei disegni di Nina, ché Nina "non disegna solo per sé ma per tutti",  ecco che combacia col nome che s'è scelta, col suo destino. Nomen omen.


Francesca, che vuol dire libera, è un altro nomen omen, e non solo per l'etimologia.

Anni fa Francesca aveva preso un'altra strada, dopo esser uscita dalla sua speciale università, piena di quell'arte applicata che ti mette tanto nelle mani, poi devi scegliere tu cosa farne.
Prima che potesse pensarci sul serio, si era ritrovata a pochi giorni dalla laurea a lavorare in un'azienda di giocattoli, di quelle grandi con gli uffici openspace, con winnitehepooh, topolini e fatine, a disegnare quel che le dicevano. Erano briglie sperimentali, ma non troppo. Erano in anticipo, e lei lo sapeva.

Una borsa di lavoro in Francia venne a rapirla, lei che tanto la sognava, lei che tanto voleva viverla ma senza ancora sapere come.
Si trattava di lasciar tutto e volare a Bordeaux, a cercare quel che non aveva avuto tempo di cercare, e magari col rischio pure di non trovare.

Fosse stata più grande e più irretita dalla contingenza, chissà, forse sarebbe rimasta. Invece se ne partì, fece fagotto e prese la strada più incerta, si sciolse le briglie di dosso e seguì una luce di crepuscolo che poteva promettere di più, o semplicemente svelarle chi era.

"Anche una passeggiata sfugge al controllo preciso d'un disegno e di una volontà, perché non si può sapere se e cosa, al primo incrocio, farà deviare dal percorso previsto. Tutte le cose fondamentali - l'amore, la felicità, la sofferenza - accadono per caso o per grazia, quando si lasciano cadere le briglie e ci si lascia portare dalla vita come un bastone nelle mani d'un viandante."

Passarano quei mesi di vita francese e passarono in un modo intenso e riflessivo.
Ricordo che mi guardavo intorno e cercavo specchi. Disegnavo quel che volevo disegnare seduta nella galleria di arte in cui lavoravo, o in un'ipotetica Place Clichy, oppure dentro il bus numero 9, e intanto riprendevo il mio tempo.


Quando cerchi la tua strada la puoi pure trovare tra le aiuole silenziose di un jardin botanique, sulle righe che lasci sull'asfalto con le ruote della bicicletta che perennemente perdeva grasso - e io lì a rovesciarla e rimetter la catena, a notte fonda. Serve pure quello.

Lì in Francia trovai la strada per un altrettanto caso. Una via un po' eterea, lastricata di fiori, non definibile in una parola sola, o almeno non allora quando la ascoltai, perché mai l'avevo saputa vedere prima.

Alla galleria d'arte insegnavo ai bambini piccini a pitturare e a scarabocchiare - che quello mi viene bene. La madre di uno di loro, forse incuriosita da quella ragazzetta italiana che aveva qualcosa di ancora non vissuto da raccontare e che tanto disegnava silenziosa, mi invitò per un caffè, «ché magari mio marito può darti dei consigli, lui è insegnante all'Accademia».
Forse avevo perso l'informazione nella traduzione, ma di lì a poco avrei scoperto che suo marito era anche e soprattutto un celebre artista, un disegnatore sperimentatore, di cui, tra l'altro, proprio la sera prima avevo assistito a un mirabolante happening di disegno e musica.

Per questo insieme di casi e sliding doors, insomma, mi trovavo ora a un Cafè della Bordeaux antica, seduta a un tavolino tondo, assieme alla donna gentile e a suo marito Michel, dalle sopracciglia nere scurissime, serio di un'espressione severa, ma in realtà dolce perché perennemente altrove, con dentro un potere impassibile da oracolo, tipo quelli della Storia Infinita che ti vedono dentro.

Mi guardava negli occhi e mi chiedeva cosa volessi fare, così, come a dire ehi, ciao. Cos'è che cercavo nell'arte, nel mondo, perché ero arrivata fin lì?

Avevo il mio taccuino sotto, come se fossi a una lezione e dovessi prendere importanti appunti. Avevo sete di conoscere e di sapere, avevo l'amo pronto per cogliere non sapevo cosa.

Risposi «L'illustratrice», senza esserne davvero sicura, mi annoiava in realtà dire una parola che dicevan tutti, e sapere che non sapevo ancora farla come volevo.

Michel mi prese il taccuino da sotto gli occhi, e vide disegnata a bordo pagina la tazzina di caffè appena bevuta, con il fondo di una goccia che avevo pressato come un cerchio sulla carta. Il mio sovappensiero.

La guardò, e disse che io ce l'avevo la risposta, ma non era quella che dicevo. Quella tazzina parlava per me.

Perché illustrare, perché disegnare parole di altri? Fermati prima.
Racconta la tua storia. Racconta di te, come fa quel cerchio di caffè e la tazzina che hai disegnato sopra. Racconta quello che mi stai dicendo, quello che lascia quella tazzina. Non occorre altro, lì dentro ci sei tu. Lo sai fare, fai quel che sei tu.


Cristallino. Nina San Paolo sulla via di Damasco.


Abbandonare l'idea di applicare un'arte per qualcos'altro, per qualcun altro, e fare di quell'arte che amavo, il disegno, la mia arte. La mia espressione non solo nella forma, ma anche nel contenuto.

La semplicità di quell'invito fatto proprio a me - cresciuta tra fogli in cui finalizzare ogni segno, mentre quelli miei li lasciavo a bordo pagina, o in un orecchio di foglio scarabocchiato, nel retro del progetto di un prodotto - mi stese. Mi brillò gli occhi. Trovai il mio specchio, a bordo pagina.


Questo blog è nato un anno e mezzo dopo, quando tanti disegni erano stati fatti, e quel monito di Michel Herreria, con la sua maglietta blu elettrico (la stessa di quel giorno, ndr) rimase impresso come un'illuminazione, e non dovevo più ogni tanto andare a ricercarlo. Semplicemente c'era, un sentiero si era creato, un modo di vedere le cose e onorarle.

"Scrivere è trascrivere. Anche quando inventa, uno scrittore trascrive storie e cose di cui la vita lo ha reso partecipe: senza certi volti, certi eventi grandi o minimi, certi personaggi, certe luci, certe ombre, certi paesaggi, certi momenti di felicità e disperazione, tante pagine non sarebbero nate."

Tutto questo per dirvi che Nina così è nata, prima il suo senso, e poi il suo nome.
Quella parola sola che allora non si diceva, del nome di quella strada nuova, eterea e lastricata di fiori, che Michel Herreria mi fece vedere, era questa, è Io & Nina. Da qui sono usciti e continuano a uscire arcobaleni.
E quel che Nina racconta è davvero quel che fa bella la sua vita, le sfumature che la abitano, dietro alle quali sta la risposta a tante cose, che pian piano capisce. Ché la verità è la chiave di tutto, e ciò che Francesca cercava l'aveva già in sé.

"Il viaggio è anzitutto un ritorno e insegna ad abitare più liberamente, più poeticamente la propria casa." 





Grazie a voi che avete conosciuto Io & Nina, e ancora la portate fiera e felice fino a qui.


F.


p.s. E domani, per festeggiare Nina (che, come avete imparato oggi, siamo tutti), andate a votare :)!


(Le citazioni appartengono alla penna adorata di Claudio Magris)



8.6.11

Every teardrop is a waterfall



ginzburg coldplay every teardrop ballarini amore


“Un giorno incontriamo la persona giusta. [...] Questa persona, mentre cammina accanto a noi col suo passo diverso dal nostro, col suo severo profilo, possiede un'infinita facoltà di farci tutto il bene e tutto il male. Eppure noi siamo infinitamente tranquilli.”



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(N. Ginzburg)
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