28.1.09

Risotto Verde



Spiegava come farlo, in quanto esempio di metodologia applicata, Bruno Munari, in "Da cosa nasce cosa. Appunti per una metodologia progettuale" (Laterza,1981).  
Della serie "tout se tien", che ne è un pò la traduzione.


Ma è un risotto verde "interpretato" questo, un pò segreto, di un mio caro amico.

Quando sono in Inghilterra, come ora, è una tappa che adoro ripercorrere , come una coccola dai passaggi ormai conosciuti, in cui ogni piccolo particolare è ormai un piacere che già mi manca mentre lo vivo.


In genere arriviamo alle ore 20.15 nella casetta di Bray, sulle rive del Tamigi.

Ieri era tutto buio e non si vedevano nè i cigni vicino al molo, nè i camerieri dirimpettai, che trafelati di solito corrono dal portone della dispensa alla porticina delle cucine del Waterside Inn.

G. aspetta sempre noi per cominciare la preparazione. 
In realtà noi due siamo solo umili aiutanti, ma di meglio dice che non ha trovato mai.
G. è un pignolo perfezionista calcolatore matematico amante della cucina e dei risotti.
G. mi ha passato più di tutti questa passione. 
E' un po' come guardare il proprio guru a lavoro, anche se quel lavoro non è il suo di professione, e il tuo non è un credo spirituale.

Mentre taglio le erbette, quelle di una fragranza che sempre mi sorprende e mi fa le punta delle dita quasi verdi, Linton gratta il parmigiano, prepara un aperitivo con i salumi che offre la casa, e versa il vino nei calici. 

Si accende Bob Dylan di sottofondo. Ormai anche lui è un habitué della cena del Risottoverde.

(The Time They Are A-Changin' sentivo più di tutto cantare ieri)











Quello che più amo di questa casa, sono i ricordi che si sono attaccati nel tempo alle pareti rosse come il vapore di un cibo buono che cuoce, alle piastrelle bianche rigate di nero della cucina, al tavolo di legno dall'eccellente disordine goloso che riusciamo a creare ogni volta nella preparazione di un semplice piatto, ma che per noi è un ritrovo, un rito, un pezzo di stagione. 
Ognuno è in realtà lontano dalla propria vera casa, e i pensieri colmi di tante cose son altrove; ma lì, un tassello di storia nostra, pura, solo di noi 3, riusciamo a ricrearla. 
In quel luogo, e in quel modo.






Riconosco gli strofinacci appesi, le tovagliette americane apparecchiate sul tavolino basso del salotto, perché l'altro è sempre troppo pieno per mangiarci (e in realtà non ci vorrebbe molto per liberarlo, ma ormai, poco da fare, ci piace così). 
Io seduta al centro per terra su un cuscino, Linton alla mia destra, mentre G. arriva con l'ultimo piatto, da appoggiare sulle gambe, perché lui se ne sta in poltrona col suo grembiule color avion.


Non scrivo la ricetta perché bene non sarebbe scritta, e perché così forse abbandonerei il ruolo di aiutante osservatrice ammirata, che invece cambiar cappello non vuole proprio.

Chissà se lo farò mai io da sola quel risotto là.

Quello di cui scrivo è solo una nostalgia del presente, colori che si attraversano si intagliano si assaporano si cuociono si mescolano nella memoria mia, e che voglio fermare, ora, prima che "ecco son già fuggiti", come il piatto finito e la forchetta che ripassa ancora e ancora sulla scia che ha lasciato, intenta a non perderla e non esserne mai sazia.



Buona serata a voi che passate di qui, e che magari un Risottoverde avete già.

23.1.09

( )




M'imbatto in questo verso e sorrido di me.

20.1.09

Come un albero



Uffffffffff fa il vento, o l'invisibile persona seduta sulla panchina?


Il mio gelso, il mio moro è spoglio. E per questo lassù sulla piccola cima-quasi-tempestosa, ne puoi contare i rami, gli affluenti, i discorsi che partono e si triplicano decuplicano per poi dimenticarsi come son arrivati fin lì.

E' tenero, è nudo, è inverno. Si staglia contro il cielo, anzi con il cielo. 

E non lo posso che amare perché mi accompagna sempre, in tutte le mie stagioni, e sta lì a cullarmi l'animo quando parto per la mia passeggiata ventosa, io & me, me & io.





I rami mi parlano dall'alto, dalla strada e dalla loro ombra. 
Sono il mio specchio, con quell'ultima foglia attaccata, l'ultima parola non detta, un pensiero trattenuto. 
"Perché no, me lo tengo, no, non lo lascio cadere, e se poi si si fa male? e se poi resto senza?"

Dai albero, lasciala cadere quella parola, la raccoglierò io per te, la serberò cara nella mia mano, like a love restrained
Io, io ti capisco!






14.1.09

Specchi di varie forme



Non scopro nulla di nuovo per il mondo. Ma il libro che sto leggendo mi ha portato ad altrettanta citazione, e ancora una volta trovo specchi.


"E' difficile da spiegare. Ma certo tu hai, tutti hanno, l'idea che ci deve essere fuori di noi, un'esistenza che è ancora la nostra. A che scopo esisterei, se fossi tutta contenuta in me stessa? Se tutto il resto perisse e lui restasse, io potrei continuare ad esistere, ma se tutto il resto durasse e lui fosse annientato, il mondo diverrebbe, per me, qualcosa di immensamente estraneo: avrei l'impressione di non farne più parte. Il mio amore per Linton è come il fogliame dei boschi: il tempo lo trasformerà, ne sono sicura, come l'inverno trasforma le piante. Ma il mio amore per Heathcliff somiglia alle rocce nascoste ed immutabili; dà poca gioia apparente ma è necessario. Nelly, io sono Heathcliff! Egli è stato sempre, sempre nel mio spirito: non come un piacere, allo stesso modo ch'io non sono sempre un piacere per me stessa, ma come il mio proprio essere. Lui è più me di me stessa."


Lui è più me di me stessa.



("Cime Tempestose" - E. Brontë)

13.1.09

Distillando fiori



Come spremere un iris, per far uscire di nuovo e ancora, fin all'ultima goccia, quella poesia che portava con sé quando ti venne donato.


Queste notti dormo poco, faccio fatica ad addormentarmi, penso penso penso, e cerco in giro l'interruttore per spegnerli questi pensieri. 
Un'insonnia dovuta forse al libro  che sto leggendo e spero di non finire, che mi dice la sua di verità, così chiara, così palese, che ami per questo.


Chiudo il libro e lo appoggio sul comodino (sperando ogni volta di addormentarmi poco dopo, ma non sarà così), e mi dico come sarebbe bello incontrarsi, guardarsi negli occhi, e dirsi la verità, come stanno le cose, senza retorica, senza parole che restano sospese, non dette. 


Sarebbe più facile. 
O sarebbe, più di tutti, infine, un finalmente.



"(...) Ma senza che gli altri ne sappiano niente
dimmi senza un programma dimmi come ci si sente
continuerai ad ammirarti tanto da volerti portare al dito
farai l'amore per amore
o per avercelo garantito,
andrai a vivere con Alice che si fa il whisky distillando fiori
o con un Casanova che ti promette di presentarti ai genitori
o resterai più semplicemente
dove un attimo vale un altro
senza chiederti come mai,
continuerai a farti scegliere
o finalmente sceglierai".



(Verranno a chiederti del nostro amore - F. De André)


10.1.09

ARCO




Tornavo in auto poco fa, e le canzoni che passavano alla radio andavano in crescendo, per caso si facevano trovare lì, e  ancora poco e non avrei resistito ti avrei chiamato ti avrei chiamato,
sfidando l'ora e la quasi sicurezza che non avresti risposto, e assieme il piacere di riuscirlo a fare e sentire che magari nonostante tutto ne saresti stato felice. 
Poi sono passata davanti a quell'arco che porta via, e mi è venuto da sorridere così forte per una cosa così nostra attaccata come il miele a quel momento lì, e come due gocce d'acqua erano i miei occhi e nessuno vedeva. 

Semplicemente, ti avrei voluto raccontare tutto questo in quell'attimo esatto.



Ascolta Realmente Cosa Odi.




6.1.09

Chiamami col tuo nome




"E il suo sguardo, l'altro, quello più gentile, che quando si posava su di te era come il miracolo della Resurrezione. Era impossibile riuscire a fissarlo abbastanza a lungo, ma dovevi provarci se volevi capire perché era impossibile".

(Chiamami col tuo nome - André Aciman)




Francesca è tornata, e Nina con lei. 
Ha sempre bisogno di un po' di tempo per riequilibrare riassettare impilare pagine di spartito vecchie e nuove. La partitura continua, anche se separata da anni-numeri diversi. 

E' contenta di essere di nuovo qui, e si è voluta godere l'attesa del ritorno.


I pensieri che si sono susseguiti in questi giorni lontani, in cui il faro mio mancava nell'aria, ma ho finto di non cercarlo, sono stati diversi mutevoli. 

C'era una cosa però che più emergeva, più intensa di tanto altro, più vociante per me della stessa quotidianità. 

Quando tutto era silenzioso attorno e io sola sveglia e attenta, mi ritrovavo a seguire con lo sguardo le linee addormentate che erano avanti a me.  
Le guardavo spesso, allo stesso modo, forse alla stessa ora della notte, e pensavo che se ci fosse stata luce, le avrei scritte, fermate.


Ti guardavo dormire, come aspettando. 


Come quando cerchi di vedere nella mappa del viso dell'altro la risposta che cerchi. Nelle labbra socchiuse che respirano sonno e sogni. Negli occhi lievi abbassati e i riccioli scomposti sul cuscino.


Se fossi stato sveglio non ti avrei potuto guardare così, così a lungo, così come avevo bisogno.


Ti vedevo da vicino vicinissimo e ti chiedevo dammi la risposta, che possa salire dalle linee del tuo viso dal contorno del tuo naso che sentiva me e mi confondeva col sonno.


E poi aprivi gli occhi, forse avvertendo lo sguardo lieve inquisitore, e io ero lì, e sorridevo come se fosse il mio un guardare senza chiedere alcuna risposta, come se ce l'avessi già quella, come se nessuna domanda passasse dentro. Solo guardavo, guardavo, e guardavo ancora, mascherando ogni contorto girovagare tra le tue righe.



E il mio sogno a occhi aperti scompariva in un attimo, e il tuo altrettanto.





Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...